Ripensando al grande compositore francese nel 150. anniversario della nascita
Corriere del Ticino, 22 agosto 2012



Se quasi mai gli artisti sono facili da classificare, Debussy più di ogni altro mette alla prova. È forse vero che la sua posizione politica era chiaramente inquadrabile nella destra nazionalista dell'epoca, ma in musica si può come minimo dire che fosse un Giano bifronte, rivolto sia al passato sia al futuro; un compositore il quale nel giro di pochi anni semplicemente ridefinì ogni nozione acquisita di melodia, ritmo, armonia, forma, sound e strumentazione. Pierre Boulez colse nel segno quando disse che la musica moderna nacque col Prélude à l'Après-midi d'un Faune (1894). E però, mentre creava la modernità musicale Debussy non accompagnò l'impresa con manifesti magniloquenti (la storia musicale ne ricorda anche troppi), ma piuttosto con frasi leggere come questa: «La musique doit chercher humblement à faire plaisir».

Con nonchalance Debussy mise fuori gioco il sistema di relazioni gravitazionali interno alla scala maggiore-minore: quello che i musicisti chiamano «tonalità». È un sistema gerarchico, in cui le note hanno rilievo e funzione differente a seconda della loro posizione scalare e che, come il parlamento, si può vanificare semplicemente ignorandolo, oppure aprendolo a tutti, offrendo a tutti la carica di parlamentare. Debussy ignorò la tonalità maggiore-minore e spesso scelse invece l'antica e universale scala pentatonica, oppure quella a toni interi (Constantin Brailoiu, fondatore dell'archivio musicale del museo etnografico di Ginevra, scrisse l'articolo più noto su questo argomento). Schoenberg prese l'altra strada e concesse eguale dignità a ogni semitono dell'ottava (rendendoli tutti senatori), con risultati che ebbero assai meno presa sul pubblico. In Debussy non avvertiamo transizioni da una scala all'altra (quello che tecnicamente si dice modulazione), perché non ci sono proprio; in Schoenberg la transizione è invece continua e perde dunque ogni rilevanza. Debussy eliminò pure di fatto il contrappunto; Schoenberg ne produsse tanto, da ottenere - forse involontariamente - lo stesso effetto: una mancanza di spinta in avanti, di tensione verso la conclusione.

È interessante notare che Schoenberg applicò una logica teorizzata in dettaglio. Debussy non ci provò nemmeno a fare teoria e solamente tolse alle note molto della loro funzione logica, caricandole invece di un effetto psicologico fortissimo. Ecco allora che il momento dell'attacco del suono (quello in cui la funzione logica della nota si manifesta) perde parecchia importanza, mentre acquisisce rilievo la sua riverberazione e il combinarsi con quella di altre note.

Debussy non amava Beethoven e affermò financo che era preferibile guardare il sole nascente, che non dedicare tempo alla Sinfonia pastorale . Addirittura, diceva: «Attenzione, il vecchio sordo ora sviluppa, scappiamo!» (intendeva dire che Beethoven elabora e rielabora i suoi temi, scomponendoli e smembrandoli con pervicacia che tende al sadismo). Debussy proprio non amò la musica tedesca, pur se da giovane non aveva saputo evitare un po' di contagio wagneriano; Wagner era allora nell'aria dappertutto, anche in Francia. Ben presto ne guarì, anche se qualcosa sottopelle gli rimase sempre, se non altro come stimolo a cui reagire, come esempio rispetto al quale sentiva il bisogno di diversificarsi: all'inizio del Prélude , il flauto glissa e produce un accordo dissonante (come Wagner nel Tristan ), ma (a differenza di Wagner) l'accordo non trova un punto di appoggio e riposo; anche nel Cakewalk compare una citazione del preludio tristaniano - ma qui siamo ormai alla parodia. Il fatto però che la sua opera, Pelléas , usi la tecnica del Leitmotiv e di Tristan racconti più o meno la stessa storia, non consente di attribuirgli la medaglia di anti-wagneriano perfetto.

Questi fantasmi di wagnerismo non impedirono tuttavia a Debussy di reagire alla germanicità in modo fondamentale. La musica tedesca amava la forma chiaramente delineata. Lui, al contrario, produsse musica disegnata in modo da far perdere la percezione della forma complessiva che, addirittura, risulta spesso sfocata ai bordi. A Brouilliards , per esempio, manca perfino l'ultima nota e l'ascoltatore se la deve quindi immaginare. Similmente, numerosi brani realizzati in età matura paiono non volere mai pervenire a una conclusione netta (quasi come Fellini che rifiutava di inserire la parola “fine” al termine delle sue pellicole).

Per questo la somiglianza stilistica tra Debussy e Ravel che molti hanno spesso osservato, percepibile a livello di sound complessivo, è nella realtà solo un fatto di superficie. Ravel si distingue sempre per il rigore della costruzione, per i disegni melodici chiaramente delineati. In confronto a Debussy era un compositore filo-germanico!

Insomma, molta musica ci piace per il rassicurante senso di ordine che comunica. Esiste poi anche musica diversa, per esempio quella di Debussy, che affascina perché disorienta l'ascoltatore, lo rende sempre incapace di comprendere dove si trovi nella geografia del brano e a volte lo conduce verso un orizzonte al di là del quale si intravvede il caos. Questa è musica avventurosa, ma l'avventura è né più e né meno intelligentemente calcolata di una fuga di Bach, una performance di Paco De Lucia, una canzone di Burt Bacharach o un intervento del persiano Kayhan Kalhore sulla Daramad di Chahargah.

Davvero Debussy guardava al passato quanto al futuro e non solo per il suo interesse nell'antica scala pentatonica. In effetti, nella sua musica si trovano ben poche combinazioni di accordi che non siano state precedentemente utilizzate da Franz Liszt. Ma Debussy questi accordi li tira fuori dalla grammatica per la quale erano nati; quasi come togliere ai sostantivi la funzione di sostantivo, ai verbi quella di verbo, o alle preposizioni quella di preposizione. Ma poi, oltre a guardare avanti e indietro, Claude Debussy gettava occhiate laterali, quando ne aveva l'occasione. All'epoca era quasi impossibile in Europa apprendere qualcosa sulla musiche d'oriente. Quando però a Parigi l'Esposizione Universale del 1889 offrì l'occasione di ascoltare un vero Gamelan proveniente da Giava, mentre Ravel e Saint-Saëns non ci fecero gran caso, Debussy ascoltò con tutta l'anima e non dimenticò mai quell'esperienza. Conseguentemente, il secondo movimento del suo Quartetto, così come altri brani (penso principalmente a Pagode e alla Fantaisie), ci offrono un eco trasfigurato di quel Gamelan e danno idea di cosa potesse cogliere l'orecchio di musicista europeo in una musica che letteralmente proveniva da un altro mondo.

Già verso il 1910 Debussy avvertì i primi sintomi di una malattia inesorabile a cui dovette infine soccombere. È facile pensare che lo scoramento causato in lui dalla prima guerra mondiale possa avere accelerato il progredire del male. Emblematicamente morì durante uno dei numerosi bombardamenti di artiglieria che l'esercito tedesco inflisse alla città di Parigi.
Debussy visse una stagione della musica europea in cui l'idea che l'arte dovesse essere primariamente originale, dopo un percorso iniziato col Rinascimento, si era affermata completamente. L'originalità di numerosi autori, tuttavia, si pensi a Wagner e a Schoenberg, era un'originalità abbastanza facilmente imitabile, che molti vollero e seppero replicare. Debussy, al contrario, offrì un contributo di originalità inimitabile, di quelli che suscitano stupore ma non attirano allievi, non generano epigoni e non fanno scuola.

La sua influenza sulla musica del Novecento fu enorme ma indiretta (per misurarne il raggio d'azione, si ascolti per esempio Duke Ellington che suona al pianoforte Reflections in D ). Dopo Debussy nulla più fu come prima nella musica Occidentale.