Strumenti “poveri” e strumenti “ricchi”
Gli strumenti musicali, quelli che Leonardo Pinzauti in un suo libro di tanti anni fa chiamava “Gli arnesi della musica” (Firenze 1965) non sono affatto
equivalenti. È quasi una banalità ossservarlo dato che tutti sono consapevoli del fatto che ogni strumento ha un aspetto differente dagli altri, è costituito di materiali diversi, e – non sfugge
a nessuno – ha una qualità di suono (un timbro) che lo identifica. Ciò che li differenzia ulteriormente sono però anche le possibilità che essi offrono al musicista. Una melodia facile da
eseguire su clarinetto o sul violino, può risultare poco agevole sulla tromba e addirittura impossibile sul trombone. Gli strumenti dunque, tramite le loro limitazioni strutturali, offrono dei
campi di possibilità con i quali il musicista deve inevitabilmente confrontarsi. In altre parole, lo strumento determina in parte il tipo di musica che è possibile generare. Lo si vede
particolarmente bene con i musicisti polistrumentisti; quando cambiano strumento sembrano quasi persone diverse, producono musica differente. E c’è la questione della reazione psico-motoria
del musicista che si esprime in forma canalizzata dalle caratteristiche dello strumento che utilizza. E‘ una questione che risulta particolarmente visibile nel caso dei polistrumentisti (p. es.
Don Cherry, flautista, trombettista e pianista; Ornette Coleman, sassofonista, trombettista e violinista, Benny Carter, sassofonista e trombettista, ecc.) che non traspongono semplicemente le
loro idee da uno strumento all‘altro. Insomma, che lo strumento non sia un elemento neutro, inerte, che semplicemente veicoli le idee improvvisative di chi lo maneggia è cosa lapalissiana; ma
come esattamente esso interagisca col pensiero musicale di chi lo adopera, mettendo nel sue mani l‘agibilità di Spielfiguren di un certo tipo e non di un altro, rimane ancora da
accertare.
Le launeddas, lo scacciapensieri, l'ukulele, l'organetto diatonico, sono tutti strumenti "poveri", a basso contenuto tecnologico, che offrono possibilità assai
limitate, vale a dire, grosse costrizioni su ciò che consentono di fare. La sfida, il cimento, per la creatività del musicista che li utilizza, consiste dunque nel riuscire a fare qualcosa di
interessante – nonostante i limiti dello strumento. È possibile farlo e numerosi musicisti di talento ci riescono molto bene.
Anche gli strumenti "ricchi", naturalmente, quelli che fanno uso di tecnologie complesse (p. es. il pianoforte, la fisarmonica...il computer) delimitano pur sempre
anche loro il campo del possibile. Canalizzano dunque in alcune direzioni e non in altre la fantasia del musicista.