Musiche bambinesche
Mi è capitato recentemente tra le mani un libercolo scritto per bambini, intitolato Viaggio nel paese dello zucchero. Mi domando quanti tra voi potrebbero aver voglia di leggerlo. Non molti probabilmente, appunto perché si tratta di cosa scritta proprio per bambini. Ci si potrebbe quindi domandare perché mai dovremmo avere voglia di ascoltare le musiche dedicate all’infanzia. Eppure lo si fa molto spesso, pensiamo solamente, per fare un possibile esempio tra tanti, al Children's Corner di Debussy. Vi dico la mia: la ragione per cui ascoltiamo con interesse e piacere anche musica scritta per per l’infanzia è che, in realtà, la musica infantile non esiste. Esiste solo nei titoli. Titolo a parte, si tratta sempre di musica che va benissimo anche per gli adulti.
Sono stati numerosissimi nel corso del tempo i compositori di rilievo che vollero scrivere musica per l’infanzia (Schumann, Mussorgski, Ciaikovski, Cesar Franck, Bizet, Debussy, Fauré, Prokofiev, Webern, Casella, Ravel, Britten, Villa-Lobos, Martinu, Kabalevski, Katchaturian, Shostakovich, Chick Corea, ecc.). Eppure, come dicevo, non mi pare che esista realmente “musica per l’infanzia”, così come come esiste invece una letteratura infantile. Per esempio: la letteratura infantile è costituita anche, in buona parte, di versioni semplificate della Bibbia, del Don Chisciotte, dei Viaggi di Gulliver, ecc. Opere che originariamente non furono pensate per un pubblico di lettori che frequentano le classi elementariinfantili. Con la musica non si può fare la stessa cosa. Non esistono versioni riassunte e facilitate dell’Eroica di Beethoven o della sinfonia Jupiter di Mozart, ad uso dei piccoli. La musica non è riassumibile, e non è semplificabile. Si può dunque solo pensarla e scriverla espressamente per dei bambini e, in fondo, nemmeno questo riesce veramente.
Anche quando i compositori ci provano, ne risultano spesso cose che piacciono
più agli adulti che non ai bambini stessi. Finora, a nessun compositore è mai riuscito a produrre l’equivalente musicale di “Harry Potter”, vale a dire una musica che i bambini siano davvero
impazienti di ascoltare, al punto da assillare i genitori per farsene comperare il disco. Io non ho mai sentito un bambino fare i capricci per avere un disco con la Sinfonia dei
Giocattoli di Leopold Mozart o le Kinderszenen di Schumann.
Il fatto è che, nella misura in cui i bambini ascoltano musica,
questa è spesso proprio la stessa musica che ascoltiamo noi adulti. Ciò perché, mentre un libro per adulti, che usi parole difficili e pretenziose, può riuscire ostico ai giovanissimi, non è
detto invece che un bimbo non possa provare piacere dinanzi agli accordi complessi di una “bossa nova” di Jobim, o magari del Tristano di Wagner. Una volta mi capitò di osservare un bimbo di soli
sei anni, letteralmente magnetizzato dal Concerto per violino di Alban Berg. Perché una musica possa piacere ai piccoli non deve quindi essere necessariamente semplice e ingenua. Il
bambino scavalca a pie’ pari le difficoltà di costruzione “logica” di un brano e aderisce, quasi plasticamente, alla sua dinamica “psicologica” con una
facilità di cui gli adulti non sono sempre egualmente capaci.
Non è quindi facile per i compositori rivolgersi specificamente all’infanzia,
perché non esistono formule affidabili per farlo. Quasi sempre ricorrono al descrittivismo - anche ingenuo e, talvolta, stucchevole. Assai comini sono titoli come: “Sul cavallino di legno”, “La
bambola nuova”, “Marcia dei soldatini”. Sono titoli che esprimono un’immagine pre-freudiana dell’infanzia; innocente e aproblematica.
A questo punto mi viene di aprire un piccola parentesi, a proposito dei tanti pezzettini per bambini che portano il titolo di “danza” magari seguito da qualche aggettivo. Ma perché i bambini
danzano? Dove? Quando? Forse nel curriculum scolastico la danza è istituzionalizzata? Non lo è nemmeno nei conservatori. Forse che i bambini vengono aiutati a prendere coscienza del proprio corpo
e delle possibilità espressive di cui è capace? Al contrario, ogni tanto li si porta a quei particolari concerti che dovrebbero essere per loro un'iniziazione alla musica “classica”. In quel
contesto, altro che educarli alla danza, insegnamo loro che di fronte alla musica bisogna contenere e sopprimere ogni rispposta motoria – perché se è musica seria non si balla, e se si
balla non è seria.
Béla Bartók costituisce un caso un po' particolare. Nella sua raccolta For Children evita i titoli stucchevoli e si limita a chiamare i suoi brani “Children's Song”, “Children's Play” o,
in modo ancora più anodino come “Play”, anche solo “Soldier's Song” “Choral”, “Song”, “Ballad”, “Hungarian Tune” o “Pillow Dance”. Nel suo caso alcuni di questi brani legittimamente si chiamano
danza, perché sono sostruiti su melodie originali di danze magiare. In altri numerosi casi Bartók dà ai suoi brani un titolo neutro “Study for the Left Hand” o, addirittura, nessun titolo. Forse
la scelta migliore.
In ogni caso, che la musica per l'infanzia abbia un titolo programmatico legato a ciò che gli adulti pensano possa essere il mondo infantile, o non lo abbia, a me pare proprio che si tratti – se la musica è di qualità – di brani che possono piacere anche ad un ottantenne. Insomma, ribadisco quanto affermato all'esordio: la musica infantile non esiste!