Il britannico Handel (1685-1759)

 

Quando discuto di Handel con critici musicali e studiosi tedeschi percepisco immediatamente che parlano del grande compositore come di un artista che appartiene interamente alla Germania. Il senso di orgoglio nazionale è davvero una strana cosa, perché raramente riconosce e accetta sfumature; presume che se uno nasca tedesco, italiano, svizzero o quel che sia, la sua identità nazionale debba rimanere immutata fino alla morte. A qualcuno può far piacere pensarlo, ma non è così. Se ne accorgono bene gli emigranti che, dopo una vita trascorsa in America o in Australia, da pensionati provano a tornare nel loro paese d’origine e infallibilmente subiscono cocenti delusioni. Pensavano di essere ancora, che so, italiani, e si accorgono di non esserlo più. 

 

Handel nacque in Germania, crebbe in Germania, ma ad un certo punto della sua vita cominciò a viaggiare per l’Europa, infine approdò in Inghilterra e vi rimase poi per sempre. Solo in Inghilterra scoprì come valorizzare la propria versatilità. Solo in Inghilterra si sentiva del tutto a suo agio, nonostante si racconti che mantenne per tutta la vita un pesante accento sassone. Gli inglesi lo consideravano uno di loro e nel 1726 il compositore chiese la cittadinanza, che gli fu concessa nel giro di qualche mese. Così il suo cognome Händel perse l’Umlaut sulla lettera “a” e divenne Handel e il nome di battesimo divenne George Frideric. Osannato dagli inglesi come un compositore inglese, come Newton (ed è quanto dire) fu poi sepolto nell’abbazia di Westminster.  

 

Trovo interessante come, a volte, si prenda atto del fatto che l’appartenenza nazionale di un artista possa cambiare nel corso della sua vita e, a volte, non lo si fa. Nessuno si sognerebbe di affermare che Jean Baptiste Lully (nato in Toscana) fosse un musicista italiano. Nessuno direbbe che Ives Montand e Frank Sinatra, che incarnarono rispettivamente lo spirito della cultura francese e americana, fossero italiani – anche se il sangue che scorreva nelle loro vene era davvero italiano. Si dice che il sangue non sia acqua, certo, ma evidentemente non è nemmeno vino; o forse sì, perché come il vino a volte viaggia bene e a volte no, e a volte proficuamente lo si può tagliare con altro vino. Io trovo che la musica di Handel, quella della sua maturità, sia musica inglese. Addirittura ritengo, e non sono il solo, che lo stile della musica inglese sia nato con Handel, e che tutti i compositori successivi della Gran Bretagna, fino a Britten e a Walton, ne siano stati influenzati. 

 

Handel è davvero un compositore inglese e non tedesco. Per convincersi di ciò basta paragonarlo a Bach. Handel e Bach erano non solo contemporanei, ma perfino coetanei, tutti e due nacquero nel 1685. Ma diversi in tutto: Handel componeva melodrammi e Bach non ne compose nemmeno uno, Handel era uomo d’affari e Bach non pensava nemmeno ad esserlo, Handel era un viaggiatore, Bach trascorse tutta la vita in una regione relativamente piccola della Germania tra Eisenach, Cöthen e Lipsia. Ma al di là di tutto questo ci sono tra i due differenze ancora più profonde. Il contrappunto e la fuga sono per Handel un gioco arguto, allegro; tecniche che contribuiscono ad organizzare la musica con eleganza. Per Bach, come per i suoi predecessori Froberger e Buxtehude, il contrappunto e la fuga sono procedimenti che aiutano a rendere la musica introspettiva e astratta. Intendo dire che il contrappunto handelliano proprio non è tedesco. E poi, se considerate i melodrammi di Handel, che cominciano ad essere oggigiorno discretamente noti, vedrete che Handel fu il solo compositore dopo Henry Purcell, a sapere scrivere dei convincenti recitativi in lingua inglese. C’è poco da sorprendersi quindi se gli inglesi sentivano e sento tutt’oggi che Handel appartiene alla loro tradizione nazionale. Credo che fosse questa britannicità di Handel che tanto indisponeva Schoenberg - Schoenberg non perdeva occasione per criticare Handel e per sottolineare quanto fosse inferiore a Bach. Schoenberg trovava il contrapunto di Handel superficiale. Ma certo, Handel gioca col contrappunto e se c’è una cosa che Schoenberg proprio non sapeva fare era quella di giocare con la musica. Schoenberg, cosa paradossale per un ebreo che poi dovette scappare in America per sfuggire al nazismo, si sentiva tedesco e voleva contribuire alla tradizione musicale tedesca. Davvero non mi sorprende che non sapesse sintonizzarsi sullo stile solenne ma leggero, giocoso ma al tempo stesso elegante e anche un po’ dandy di George Frideric.

 

L’identità delle persone cambia gradualmente durante tutto il corso della loro vita, si riconfigura progressivamente sulla base delle esperienze acquisite. Anche la loro identità nazionale. Chi potrebbe dire oggi che l'ex governatore della California, Arnold Schwarzenegger, sia tuttora austriaco! Quando parla inglese, peraltro, benissimo, l’accento austriaco ce l’ha ancora, il tedesco non lo ha dimenticato e, però, quando parla esprime idee che sono in sintonia col suo paese d'adozione. Una cosa è certa, anche se gli austriaci ne sono orgogliosi e lo rivendicano, gli americani non hanno dubbi nel considerarlo uno di loro. 

 

A voler scavare si potrebbe affermare che nei concerti grossi di Handel si avverte più la tradizione italiana di Arcangelo Corelli e di Alessandro Scarlatti che non quella tedesca. C’è una cantabilità, quasi vocale (anche nella musica strumentale di Handel) che è di provenienza italiana. 

Un’ultima cosa desidero osservare: se Schoenberg, così austro-tedesco nel fondo dell’anima, disprezzava Handel, Beethoven invece lo apprezzava assai. Anche Beethoven era tedesco e però era un tedesco (divenuto poi viennese) che sapeva guardare al di là del mondo germanico. Beethoven si informava sulla musica francese e ne traeva insegnamenti, era interessato all’opera italiana e la musica inglese non gli era ignota. Così mi spiego come potesse essere sensibile anche al fascino di Handel. In effetti in conversazione documentata, che risale al 1824, Beethoven ebbe a dire che Handel era il più grande compositore mai esistito. Ora, che si voglia prendere per buona o meno l’opinione di Beethoven, io spero di avervi convinto almeno di una cosa: che Handel era un compositore inglese calzato e vestito.