Quando la musica commerciale è bella,
quando la musica pretenziosamente artistica è brutta
Per onestà, occorre proprio ammetterlo: tanta musica commerciale è proprio bella. Molta della musica prodotta con intenzione artistica, quella che pretende di
essere arte pura, è spesso, invece, dolorosamente brutta. Dovremmo allora dedurne che l'intenzione, sia essa commerciale o artistica, ha poco a che vedere con la qualità del risultato. Non ha
senso mettere sull'altare dei prodotti, solo perché alla loro origine c'è un'intenzione, anche onesta e nobile, di produrre cose belle. È il risultato che conta, è quello a cui dobbiamo guardare.
Quello che lo storico Alois Riegl chiamava Kunstwollen (cioè l'intenzione artistico-estetica) è certamente un carattere culturale che contraddistingue alcuni periodi della storia e non
altri, ma non è di per sé garanzia di un risultato qualitativamente pregevole.
Invece, e ciononostante, l'aggettivo “commerciale” continua ad essere usato in senso dispregiativo. Come se fosse necessariamente sinonimo di cosa brutta. Come se
per vendere bene un prodotto dovesse essere per forza volgare, dozzinale e di cattiva qualità. Non mi pare che sia così con le automobili e con i computers. Nemmeno lo si può dire di quei
prodotti, come i videogames, che hanno una evidente componente artistica. Neppure lo si può affermare di tanta musica "commerciale" prodotta per la radio, la televisione e la
pubblicità.
Spesso prodotti artistici definiti come commerciali all'inizio della loro esistenza (in inglese si direbbe lowbrow), e come tali disprezzati (il genere del
romanzo nel XVIII secolo; i films di Totò, detti film di 'cassetta'; gli 'spaghetti western' di Sergio Leone), sono stati poi oggi riconosciuti come prodotti artistici di alto livello (highbrow).
Vale la pena ricordarselo sempre...