Questa breve intervista comparsa il 5 dicembre 2014 sul Corriere del Ticino, condotta da Raffaella Castagnola, titolare della pagina culturale di questo giornale, affronta il tanto spesso reiterato luogo comune, secondo il quale la musica sarebbe un "linguaggio universal".

 

Il linguaggio universale dei suoni

 

Spesso si dice che la musica sia una sorta di “linguaggio universale”, capace di superare ogni barriera culturale. E tuttavia, frequentemente incontriamo generi, stili o repertori che ci paiono ostici e sgradevoli. Come mai? Ciò che non è di nostro gusto forse non è universale? Come giudicare allora il gusto altrui? Abbiamo chiesto a Marcello Sorce Keller, Assoziierter Forscher all'Institut für Musikwissenschaft dell'Università di Berna, il suo punto di vista sulla faccenda.

MSK. È assolutamente normale che la maggior parte della musica prodotta su questo pianeta non ci piaccia – anche quando sia, nel suo genere, di alto livello qualitativo. L'equivoco nasce quando parliamo di “musica” e non di “musiche”, al plurale. Le musiche del mondo, infatti, tutte desiderano rivolgersi alla propria gente e tengono, quindi, ad essere “particolari” e non “universali”. Nessuna di esse fu mai prodotta per piacere a tutti. E gli Yanomami dell'Amazzonia se ne infischiano se le loro canzoni paiono insignificanti agli indiani Suya. Ciò perché uno degli scopi del musicare è quello di marcare differenze, segnare confini, separare “noi” dagli “altri” (Pierre Bourdieu ha molto scritto su quanto sia socialmente importante de-marcarci dagli altri). Se così non fosse, mancherebbe alle culture uno strumento assai versatile per segnalare a quale livello esse non siano omologabili in una paella multiculturale che presume la fondamentale eguaglianza di tutte le differenze. L'idea che le musiche possano avere senso universale è smentita poi nella alla quotidianità. Chi ascolta Baremboim non lo ritroviamo ai concerti degli U2; i fans di Eminem raramente avvicinano Quincy Jones. Oltre i confini dell'Occidente le barriere diventano addirittura ermetiche. È quasi impossibile per noi reggere più di cinque minuti di Gamelan javanese o Gagaku nipponico. 

RC. Come nasce allora l'idea del linguaggio universale?

MSK. Ammesso che la musica sia paragonabile ad un linguaggio, come il “linguaggio” è universale solo nel senso che tutte le comunità umane ne praticano uno; ma i linguaggi non sono intercomprensibili, a meno di non affrontarne lo studio. Similmente, musiche basate su grammatiche sostanzialmente aliene, sono tra loro incompatibili, salvo casi di bi-musicalità coltivata precocemente, o un avvicinamento attraverso lo studio. Quello dell'universalità è solo un luogo comune, nato in Occidente nel XVIII secolo, a seguito di un pregiudizio eurocentrico. Nessuno al mondo aveva mai pensato prima che la propria musica potesse estendere il proprio senso ad estranei.

RC. Cosa successe allora all'epoca dei lumi?

MSK. Con l'Illuminismo si affermò l'idea che una musica “naturale”, razionalmente concepita sui principi di consonanza e dissonanza (allora ritenuti) insiti nella natura fisica del suono, sarebbe risultata comprensibile a chiunque non fosse affetto da patologie cerebrali (francese, cinese, o eschimese che fosse) perché ciò che è naturale è pure, evidentemente, universale. L'inghippo consiste però nel fatto che solo la musica europea si riteneva allora naturale e razionale. Non quelle “barbare” e “primitive” degli altri! Peccato che gli “altri” abitanti della terra, non riconoscevano affatto la superiorità musicale dell'Occidente e ritenevano che fosse la nostra musica ad essere barbara. Quando i cinesi di cultura confuciana ebbero i primi contatti con Mozart, rimasero infatti sconvolti dalla sua “indescrivibile volgarità”. Ci pensò poi il colonialismo a rieducarli e condurli alla ragione...Oggi in Oriente la musica europea è spesso ben compresa, mentre siamo noi euro-americani che riusciamo ad avvicinare le musiche orientali solo in forma addomesticata ed annacquata come avviene nella World Music. 

RC. Queste informazioni, evidentemente ben note agli studiosi, non arrivano al grande pubblico. Come mai? 

MSK. Lei mette adesso il dito nella piaga, anzi, in più di una. Da un lato c'è la modesta capacità degli studiosi, degli etnomusicologi, a comunicare ciò che sanno fuori dell'ambito accademico. Dall'altra, c'è la caparbia inerzia del pubblico abituato a ritenere che la musica sia da vivere come esperienza emotiva e non come attività che miri ad un guadagno conoscitivo (ciò che piace d'istinto è musica, ciò che non piace non lo è). Anche i musicisti, che raramente leggono di etnomusicologia, non aiutano; perché sono di solito interessati non “alla musica” in generale, ma solo al genere musicale che loro stessi praticano. A partire dal 1880, quando nacque la musicologia comparata, successivamente nota come etnomusicologia, gli studiosi hanno detto e ridetto, scritto e riscritto in ogni possibile occasione che la musica NON è un linguaggio universale, non aiuta ad affratellare i popoli; non è nemmeno il linguaggio delle emozioni (se non nella nostra cultura dove tutto sembra volerci dare emozioni – anche ormai il dentifricio). Ma nessuno ascolta.

RC. Tutti i popoli però, lo diceva prima, sono interessati all'uso sociale del suono.

MSK. Sì, gli umani utilizzano suoni portatori di significato ovunque essi vivano, anche quando non li chiamano “musica”. Pure il concetto di “musica” – infatti – non è universale! Per esempio, in numerose culture africane ciò che noi chiamiamo “canto” (e dunque “musica”) è considerato solo una forma di “parlare enfatico” e non si hanno termini di senso generale per dire “musica”. In ogni caso il suono portatore di “senso” – lo si dica “musica” o meno – costituisce un universale del comportamento umano. Il suo senso può però facilmente essere frainteso, o considerato nonsenso, da chi non appartiene al gruppo che pratica quella specifica forma di attività centrata “su”, o complementata “di” suono. In buona sostanza: la “musica” è un linguaggio universale solo per chi condivide il nostro universo. Di coloro, invece, che non ne fanno parte e non apprezzano la musica che noi stessi apprezziamo, si dice tuttora che sono ignoranti, barbari e che quella che loro chiamano “musica”...non è “vera musica” – solo rumore!