Musica colta...senza troppa cultura...
È davvero un peccato che la sub-cultura conservatoriale continui a trasmettere l'idea che la performance sia essenzialmente una disciplina ginnico-atletica,
corroborata da una mai ben definita 'musicalità'. Di questa si comprende solo una cosa con chiarezza: che non ha bisogno di libri, nemmeno di quelli tecnici. I conservatori non inducono gli
studenti a frequentarli. È così dunque assai raro incontrare un musicista che esegua Beethoven e che abbia familiarità con le analisi sul processo tematico in Beethoven prodotte da Rudolph di
Réti, o quelle sulla forma sviluppate da Charles Rosen...
Per questo anche i più famosi concertisti (che di Réti e di Rosen quasi sempre ignorano perfino il nome) così spesso suonano Beethoven senza farci sentire quello
che, oggi, con le conoscenze acquisite nel corso di un secolo e mezzo di ricerca, sarebbbe possibile sentirci. Ciononostante, l'applauso è garantito in partenza – se non ci avete fatto caso,
fateci caso, non manca proprio mai! Il pubblico non è portatore di un 'gusto' e non è quindi in grado di provare 'disgusto'. In quell'applauso la non-cultura della performance risuona nella
non-cultura del pubblico. La si dice, ciononostante, 'musica colta', ma se è fatta senza cultura può davvero esserlo?