La perfezione come condanna
Questa è una riflessione che sottopongo alla considerazione dei tanti che seguono con passione quella che, secondo me, viene inappropriatamente detta "musica
classica". Non ho naturalmente nulla da eccepire perché l'ascolto anche io. Vorrei solamente che non fosse contrassegnata da una etichetta che trovo inadeguata e fuorviante (la
questione la affronto nei miei Scritti Polemici, qui: La chiamano classica!).
Non c'è dubbio che il livello tecico esecutivo negli ultimi decenni è migliorato costantemente. I concertisti contemporanei assai raramente commettono errori di
entità tale da rilevati dal pubblico, come succedeva per esempio a Backhaus o a Menuhin. Può essere considerate una bella cosa che le composizioni storicamente più importanti sia possibile
ascoltarle dal vivo quasi con lo stesso grado di perfezione che offono le registrazioni fonografiche.
Quando una performance viene registrata, non c'è ragione perché non debba essere impeccabile. Nel caso della performance dal vivo, mi domando se sia proprio sempre
bello che lo sia egualmente. Penso alla pianista Americana Amy Fay che nella seconda metà dellOttocento intraprese un viaggio di studio in Germania e raccontò in un libro le sue esperienze (Amy
Fay, Music-Study in Germany, Chicago, McClurg & Company, 1880, Reprint Dover 1965). Una delle cose interessanti che racconta è che Franz Liszt era tutt'altro che un pianista
impeccabile ma, quando commetteva un errore, quando si cacciava nei guai, riusciva sempre a cavarsi d'impaccio. In alter parole, trasformava l'errore in un pretesto per mostrare la propria
fantasia e creatività. È quello che avviene costantemente nel mondo del jazz. Nel jazz non ci sono errori, perché le note o gli accordi che scivolano dalle dita inavvertitmente costituiscono il
pretesto per deviazioni di fantasia.
I concertisti di oggi, queli che percorrono il repertorio scritto, non sono addestrati all'estemporaneità; non sono abituati a preludiare e
interludiare (come faceva Clara Wieck-Schumann) e non saprebbero dunque cavarsi d'impaccio. Mi domando se non sia per questo che sono costretti ad evitare gli errori ad ogni costo. Incappare
in un errore a cui non riesce a rimediare è davvero mortificante. La perfezione può certamente essere giustificata dicendo che le grandi musiche del passato la meritano. A voler pensar male,
invece, si può sospettare che sia resa indispensabile, obbligatoria perfino, per la ragione di cui ho appena detto.