Barocco, perché?

È noto come la terminologia musicale, soprattutto per quanto riguarda periodizzazione e indirizzi stilistici, prenda spesso a prestito etichette dal linguaggio della storia, delle belle arti e della letteratura. È questo il caso dei cinque canonici periodi (Medioevo, Rinascimento, Barocco, Classicismo, Romanticismo) che tra il 1850 e il 1950 divennero i cardini entro i quali raccontare la storia della musica europea. Tra questi, il caso del “barocco” è però sui generis. Per spiegare quanto davvero lo sia, occorre tirare in ballo quel “basso continuo” di cui a volte si legge nei programmi dei concerti, e che forse non proprio tutti sanno cosa stia ad indicare. Si tratta di una forma di stenografia musicale, usata nella musica d'insieme, che entrò quasi immediatamente in uso all'inizio del 1600. Questa “stenografia” consentiva ai compositori di risparmiare tempo e carta (allora ben costosa) indicando solo con numeri quali accordi era man mano necessario produrre nel corso di un brano – lasciando così agli esecutori la libertà di posizionarli a piacere e creare tra loro collegamenti melodici (quello che oggi nella popular music si dice voicing). Il “basso continuo”, costituito com'era da simboli numerici, assai bene esprimeva quel desiderio di
schematizzazione razionalistica che caratterizzò la cultura seicentesca anche in altri ambiti.

Se il “basso continuo” entrò in uso con sorprendente rapidità attorno al 1600 (il primo a chiamarlo così pare sia stato Lodovico Grossi da Viadana nei suoi Cento Concerti ecclesiastici...con il basso continuo per sonar nell'organo del 1602), inizia però a uscire dall'uso con quasi eguale celerità attorno al 1750. A partire da circa il 1780 rimane solo nella didattica dell'armonia e poi, sorprendentemente, riemerge nel Novecento con la popular music, che fa uso dei cosiddetti “accordi cifrati” (chiunque suoni un po' la chitarra ne conosce i simboli: Cm6, G7, ecc.). Comprensibilmente, dunque, per indicare l'arte musicale europea del periodo 1600-1750, era uso parlare di Era del Basso Continuo (in area austro-tedesca, Generalbasszeitalter, seguendo l’indicazione di Riemann. Quest’ultimo che fu il più importante musicologo generalista dell'800, autore di manuali scolastici diffusi in tutta l'area germanica, ma anche tradotti in inglese. Oggi invece, e da numerosi decenni, l’Era del basso continuo è diventata periodo “Barocco” e si parla dunque di “Musica Barocca”. 

 


Il fatto singolare è che ai contemporanei di quella musica il termine “barocco” non sarebbe per nulla piaciuto, perché allora esprimeva una connotazione fortemente negativa.
Rousseau nel suo Dictionnaire de Musique del 1767 dice infatti così : “(musique) baroque” ...“celle, dont l'harmonie est confuse, chargée de modulation et de dissonances, le chant dur et peu naturel, l'intonation difficile et le mouvent contraint.”
L'epiteto di “barocco” veniva conseguentemente affibbiato dai sostenitori di Lully alla musica di Rameau che era per loro: “bizarre, baroque, et depourvu de melodie”. Similmente Johann Hasse dava del “barocco” a Francesco Durante. Addirittura, ancora nel 1879 il critico Eduard Hanslick definiva “barock oder unecht” la dovizia di abbellimenti che caratterizzano il finale del primo concerto per pianoforte di Liszt. All'epoca l'aggettivo “barocco” si poteva dunque liberamente affibbiare a tutto quanto offendeva il “buon gusto”.

A metà Ottocento però, lo storico svizzero Jacob Burckhardt iniziò ad usare il termine più selettivamente, per indicare quella che per lui era la fase di decadenza del Rinascimento. Disse così che il Barocco usava in sostanza lo stesso linguaggio del Rinascimento, ma con un accento dialettale. Poco dopo un altro svizzero, Heinrich Wölfflin, allontanandosi dalla visione di Burckhardt, propose di considerare il Barocco come un periodo a sé stante, da giudicare indipendentemente dal Rinascimento.

Finora la musica non era entrata in gioco ma ci arrivò ben presto, con il musicologo Curt Sachs che aveva studiato storia dell'arte proprio con Wölfflin. Fu proprio Sachs che nel 1919 pubblicò un articolo intitolato “Barockmusik” (Jahrbuch der Musikbibliothek Peters). L'influenza di Curt Sachs in musicologia fu enorme (si consideri che trasferitosi negli Stati Uniti divenne uno dei padrini della neonata musicologia americana). Con lui dunque si iniziò a parlare di “musica barocca”. Il consolidamento definitivo del termine avvenne con la pubblicazione nel 1947 di Music in the Baroque Era di Manfred Bukofzer, un libro sul quale si sono formate generazioni di studenti.

La dizione “musica barocca” è ormai generalmente accettata, ma rimangono ciononostante numerosi coloro i quali sostengono che l'aggettivo “barocco”, applicato alla musica, non dice proprio molto. Tra i più fermi oppositori di questo termine ci fu il compositore e teorico Robert Cogan, il quale sostenne nella musica detta “barocca” non riconosciamo per nulla quei “barocchismi” che saltano invece all'occhio nelle opere architettoniche dell'epoca corrispondente (li vediamo magari in Couperin ma non certo in Bach o Handel). Cogan aggiunge poi che il termine inventato da Claudio Monteverdi per indicare la radicale innovazione stilistica avvenuta attorno al 1600 – Seconda Prattica – potrebbe ben essere usato per descrivere la musica di questo periodo. Se così fosse, per una volta almeno potremmo indicare un'epoca della storia musicale con un termine coniato da un musicista e non con un termine di raccatto, preso a prestito dalla storia dell'arte. Non sembra però che stia succedendo. Dovremo quindi, con buona probabilità, accettare la dizione “musica barocca” e ad attribuire a Curt Sachs. non solo i grandi contributi che diede all'etnomusicologia e all'organologia, ma anche il demerito di averci convinto ad usare l'aggettivo “barocco” – un aggettivo che ai compositori ai quali viene attribuito sarebbe parso un imperdonabile oltraggio.