Puccini e le quinte parallele
Avete presente l’inizio del secondo atto di Bohème? Comincia con diciotto battute che contengono accordi di tre note, messe una sull'altra. La più grave e la più acuta delle tre, costituiscono quello che si indica come "intervallo di quinta", proprio perché, per salire dall’una all’altra, occorre contare/nominare cinque note.
Perché racconto queste cose di banale alfabetismo musicale? La ragione è che una successione di accordi così configurati, con quinte parallele, sarebbe da evitare
secondo la teoria scolastica. I motivi della proibizione sono numerosi, emergono dalla storia e potrebbero costituire un argomento a parte. Rimane il fatto che, se uno studente di composizione si
lascia sfuggire dalla penna qualche quinta parallela, rischia di fallire gli esami. Occorre però aggiungere che il movimento parallelo di quinte, produce un effetto musicalmente sfruttabile. Fu
così che Puccini decise di utilizzare, con grande efficacia, triadi parallele (i cui estremi, come si è detto, costituiscono una quinta) all'inizio del secondo atto di Bohème, nella scena
ambientata nel quartiere latino, la sera della Vigilia di Natale.
Quando l’opera fu presentata al pubblico molti professori di conservatorio si dichiararono scandalizzati (in effetti, non solo per le quinte parallele, ma anche perché alcune arie dell’Opera
parvero a molti quasi delle canzoni). Queste triadi però, che vagano in modo incerto, all’inizio del secondo atto, un po' verso l'alto e un po' verso il basso, sono efficaci nel creare
un’atmosfera di tempo quasi sospeso – prima che la narrazione riprenda il suo percorso verso il tragico finale.
A onore del vero la storia della musica occidentale offre altri casi di musicisti che avvertirono l'utilità di contravvenire alla consolidata consuetudine di evitare le quinte parallele. Alcuni lo fecero in modo ancor più caratteristico di Puccini, producendo non accordi di tre note ma solo bicordi, quinte nude cioè, dato che al loro interno ci sarebbe spazio per una terza nota. Una cosa del genere la fece Beethoven all'inizio della sua Nona Sinfonia. Pure lo fece Janacek all'inizio della sua umoristica Sinfonietta.
Insomma, questo delle quinte parallele è un effetto davvero particolare,
dal carattere misterioso se le quinte sono vuote (dato che la mancanza di una terza nota centrale impedisce di chiarire se si accenna al modo “maggiore” o al modo “minore”). Meno misterioso ma pur sempre un po’ disorientante è la scelta delle quinte “piene”, che Puccini preferì. È normale che i compositori ricorrano occasionalmente a questi effetti di pesata ambiguità. Sono numerosi gli altri casi che si potrebbero citare per mettere in evidenza la fantasia degli autori nel adottare questi espedienti. Tutti conoscono, per esempio, in tempi recenti, l’inizio del tema della “Pantera Rosa”, composto dal geniale Henry Mancini. Come prima di lui Puccini, Beethoven, Janacek e numerosi altri, anche Mancini sapeva giocare con le quinte parallele.