L’armonium di Sandokan
Elogio del dilettantismo (e del suonar male)
Emilio Salgari ci fa sapere che Sandokan nel suo rifugio di Mompracem aveva “un armonium di ebano con la tastiera sfregiata...” e che “Yanez...staccata da un chiodo una vecchia mandola si mise a pizzicarne le corde...” (I Pirati di Mompracem). Cosa avranno suonato e come lo avranno suonato? Non lo sapremo mai. Ma una cosa è sicura, ed è che Sandokan e Yanez non avevano fatto il conservatorio (quando mai ne avrebbero avuto il tempo!). Erano quindi dilettanti, magari anche autodidatti. Proprio per questo ne vorrei sapere di più. E in verità, non solo vorrei saperne di più del dilettantismo musicale di Sandokan e del suo compagno, ma anche sul dilettantismo in genere.
Sì, perché il dilettantismo musicale gode della assai singolare distinzione di essere uno dei fenomeni più diffusi al mondo e – al tempo stesso – uno dei meno studiati, dei meno compresi e, spesso, purtroppo, dei meno apprezzati. Esemplare al riguardo è la stroncatura lapidaria pronunciata molti anni fa dal compositore italiano Gianfrancesco Malipiero, quando affermò: “I dilettanti non dilettano nessuno!” Ma non è affatto così, con buona pace del rispettabile Maestro. In primo luogo perché i dilettanti dilettano se stessi – e questa già non è cosa da poco. In effetti, chi non ha mai provato a strimpellare uno strumento, non immagina nemmeno quanto piacere si possa trarre dal riuscire a riprodurre un motivetto anche alla bell’e meglio, e quanta gratificazione possa venire dalla conquista di un semplice accordo di chitarra. Non importa affatto se il risultato non è in alcun modo paragonabile a ciò che può produrre un concertista. Non importa perché il suonare maldestro dei dilettanti, oltre ad offrire piacere a loro stessi, nonostante tutte le sue possibili imperfezioni, spessissimo lo elargisce anche a chi li circonda. Sicuramente, sarà capitato a molti di trovarsi in una festicciola in cui qualcuno, ad un certo punto, si è messo al pianoforte, oppure ha imbracciato una chitarra e, pur suonando approssimativamente, è riuscito a dare alla festa “quel qualcosa in più” di cui in quel momento c’era bisogno, e che un concertista capace di eseguire impeccabilmente gli Studi Trascendentali di Liszt non sarebbe riuscito ad offrire.
È proprio questo che rende la musica un fenomeno assolutamente speciale, essenzialmente diverso rispetto alla poesia, alla letteratura e alle altre arti. La musica è la più diffusa forma di produzione culturale in ogni società, in tutti i suoi livelli. Nulla le è paragonabile. La musica appartiene a tutti. Non c’è bisogno di avere un diploma di Conservatorio per avere il diritto di praticarla. Tra l’altro, non va dimenticato che anche personaggi illustri come Nicolò Paganini, Richard Wagner, Edward Egar, Leos Janacek, Arnold Schoenberg, William Walton, Andrés Segovia, Louis Armstrong, Mauricio Kagel, Salvatore Sciarrino, Andreas Vollenweider, del Conservatorio ne hanno fatto a meno. Ma questi ultimi erano e (i viventi tra loro sono) pur sempre professionisti. La cosa davvero importante è, invece, che ci sono ovunque più musicisti dilettanti di quanti non siano i dilettanti poeti o pittori. La musica è davvero un’arte per tutti. Basta riuscire a produrre un paio di accordi sulla fisarmonica, o cantare stonato sotto la doccia e ciò è sufficiente ad arricchire la nostra vita in misura indescrivibile.
Vale la pena notare che alcuni strumenti, in ragione delle connotazioni “ideologiche” che portano con sé, e dei repertori che storicamente sono loro associati, godono di maggiore popolarità di altri tra i dilettanti e invitano ad essere autodidatti. Per esempio, la maggior parte delle persone che su questo nostro pianeta suonano la chitarra, hanno imparato da soli a fare quello che fanno (dal mio vicino di casa fin su su a Segovia e a Jimi Hendrix!). È una cosa bellissima, ed meraviglioso osservare quanto spesso siano proprio i dilettanti, di chitarra e non solo di chitarra, invece dei professionisti, a darci quel “qualcosa in più” di cui la nostra vita ha bisogno. Non importa se da un certo punto di vista suonano, magari, piuttosto male – specie se giudicati con l’altezzosità del professionismo perfezionistico. L’importante è che non suonino in modo sciatto, di malavoglia, ma che ce la mettano tutta – e i dilettanti quasi sempre ce la mettono tutta (sono un po’ come i bambini, che prendono sempre sul serio ciò che fanno); e poi la musica per loro, proprio perché non è mestiere, non è quindi nemmeno terreno di concorrenza, di rivalità, invidia, e nemmeno di guadagno.
Prima che esistesse la registrazione fonografica la musica era soprattutto un'attività familiare e comunitaria. Poi, purtroppo, con l’invenzione del disco (che per altri versi così tanto ci ha dato), i dilettanti hanno cominciato a provare disagio nei confronti del livello professionale che divenne così facilmente accessibile a tutti. Ma, se i dilettanti cominciarono a quel punto a disertare il repertorio classico (che tolto ai dilettanti ha così guadagnato un di più di seriosità e pretenziosità), per fortuna si sono riversati con entusiasmo su quello delle canzoni e della popular music in generale. E sono stati proprio in tanti a farlo, perché poi quasi tutti gli esseri umani hanno del talento musicale e in qualche modo trovano il modo di esprimerlo. Le persone del tutto a-musicali, se ci guardiamo bene intorno, sono davvero una rarità. Ed è un peccato, anzi una vera tragedia, che per le persone desiderose di arricchire la propria vita con un po’ di musica prodotta personalmente la scuola abbia così poco da offrire, se non una deprimente caricatura dell’addestramento professionale, solo un po’ annacquato. Ed è un peccato, e anche qui una vera tragedia, che la maggior parte degli insegnanti di musica siano così poco interessati ai dilettanti, e a quell’idea di divertimento che il far musica dilettantesco comporta e richiede: sperano invece sempre di scoprire il piccolo superdotato che possa diventare un grande concertista. È anche poi raro trovare insegnanti di strumento che conoscano realmente la musica rock, jazz, pop e gli altri generi che costituiscono la colonna sonora del nostro vivere quotidiano. Questi generi non hanno avuto alcun ruolo nel loro sviluppo musicale e non hanno quindi alcuno ruolo nell’addestramento dei loro allievi. Le eccezioni ci sono sempre, beninteso, ma sono – appunto – eccezioni. Le scuole di musica, come gli insegnanti che le abitano, fanno poco per fare crescere il numero dei dilettanti. Li tollerano, li fanno soffrire e, se decidono di rimanere dilettanti, riusciranno ad instillare in loro un complesso di inferiorità.
Se ci pensiamo bene, l’idea di professionismo musicale che si è affermata nella nostra società è stata, in fondo, un tentativo di espropriare la gente normale dal piacere di fare musica; un tentativo che nell’ambito di quella musica (che con un termine atroce) diciamo “classica” è in fondo riuscito quasi perfettamente.
Insomma, e in conclusione: io penso che un professionista che non suona bene, considerando le grandi pretese che ci sono dietro il suo suonare (interpretare fedelmente e creativamente il pensiero dei più grandi compositori del passato) è veramente insopportabile. Un dilettante invece, che inciampa, che stona, che sbaglia le note e che con determinazione ed entusiasmo ciononostante procede, e affronta e si scontra con tutti gli ostacoli che trova sul suo cammino, ci rende partecipi della sua affascinante avventura. L’esperienza che ci offre può essere una delle più gratificanti e travolgenti che la musica ci possa dare. In altre parole, e se mi consentite di dirvela proprio papale papale: piuttosto che andare a sentire in concerto uno dei più acclamati virtuosi del nostro tempo, io preferirei di molto potere ascoltare...l’armonium di Sandokan.
Questo testo fu originariamente concepito per una emissione della serie “Note in Libertà” (Rete Due, Radiotelevisione della Svizzera Italiana). È poi comparso in Verifiche - Cultura e politica dell’educazione, no. 6, December 2007, pp. 19-20